Compro da almeno vent'anni il Sole 24 ore alla domenica, ovviamente per il domenicale. Con questo giornale ho un rapporto ambivalente: apprezzo e leggo con piacere diversi articoli ma ce ne sono altri, e ce ne sono sempre di più, che sono assolutamente insopportabili. Vale la pena comunque leggerli, perchè fanno comprendere in maniera molto lucida lo spirito dei tempi.
Domenica 21 settembre c'è stato l'ennesimo ripetitivo noiosissimo articolo del direttore Roberto Napoletano. Sono certo insopportabile anche per lui che si trova -evidentemente per contratto- a ripetere le medesime parole d'ordine ogni settimana senza cedere di una virgola. In realtà una unica parola d'ordine: merito, merito merito.....
Questa settimana la vittima inconsapevole appariva come di consueto un(a) giovane: “Il sogno di valentina e la scossa meritocratica che serve”.
I giovani sono la preda perfetta: bravi e preparati, vittime di un sistema italia che non sa valorizzare i loro talenti ed anzi li spreca. Nel senso che se nemmeno i privati li assumono la colpa è del sistema (e alla fine dello Stato che avvolge il privato di tasse, lacci e lacciuoli), se è il pubblico (come in questo caso) a non valorizzarli la responabilità è direttamente del medesimo. I giovani sono una ottima carne da cannone per le bombe retoriche che il Sole spara in abbondante compagnia da oramai quasi due decenni.
Epperò. Caro Roberto Napoletano, direttore del Sole 24 ore. Che racconta la storia di questa ragazza? Lei tenta di uscire dal “posto fisso” della pubblica amministrazione dopo lunghi anni in cui si “era illusa “ di poter portare nell'arrogante, superficiale “mondo della pubblica amministrazione italiana” l'esperienza maturata in Inghilterra ed Australia. Nulla da fare. Per cui Valentina è riuscita a farsi dare un part-time (per fortuna che lavora in una PA, fosse nel privato non l'avrebbe ottenuto facilmente) che le permette di lavorare per l'European Research Council dove seleziona progetti di alta tecnologia che competono per ricevere fondi di ricerca.
Al che Roberto napoletano conclude:
“anch'io ho un sogno... che si riuscisse a far entrare uno straccio di criterio meritocratico... si reclutassero i migliori... per valorizzare i nostri cervelli, prima di perderli... (contro) i mandarini di sempre che sanno solo bloccare qualunque cosa (senza) …valorizzare le risorse importanti che ancora sopravvivono con il loro bagaglio di capacità ed esperienza. Un Paese serio non può tollerare a lungo una situazione simile.”
Come si può, genericamente, non essere d'accordo in buona parte? Non fosse che il “criterio MERITOCRATICO” nulla centra con tutto il resto e con la storia di Valentina.
Napoletano confonde mele e pere, e nessuno (magari neppure lui) se ne accorge, tanto oramai da anni siamo abituati a mangiare mele pensandole pere.
E' evidente che il problema sollevato da Valentina non è quello di “un merito” che non viene riconosciuto, ma quello di un sistema dove LE PERSONE (ripeto: non IL MERITO) non vengono riconosciute. Questo sistema che non riconosce LE PERSONE nella loro diversità, potenzialità, soprattutto nella loro unicità, schiacciandole sotto la minaccia dell'emarginazione e della perdita del posto, svalorizzandole appunto COME PERSONE, è il medesimo sistema che IL SOLE promuove (ripeto, in vasta e felice compagnia) con pervicace costanza, sotto le campane che prendono appunto il nome di MERITO.
Nella sadica visione meritocratica di Napoletano, le colleghe e i colleghi di Valentina sono ovviamente IMMERITEVOLI, complici, sostenitori privilegiati del sistema, dato che non hanno cercato di venirne fuori. Ovviamente noi che ne sappiamo di loro e delle loro scelte? Nulla.
Eppure nel quadro di Napoletano è tutto chiaro. Valentina, con una gamba nel pubblico (non si sa mai) e l'altra nel privato diventa il simbolo del merito che vince (In hoc signo....).
Ben sappiamo che “meritocrazia” nelle intenzioni dell'autore del neologismo era un termine ironico e deteriore. Ma forse non abbiamo ben ragionato di come una società meritocratica sia necessariamente una società di schiavi e di servi e ovviamente di padroni.
Già! Basta leggere -e se serve sono pronto a fornire materiale in abbondanza- che cosa pensavano i padroni nei secoli (dai latifondisti del '600 all''800 schiavista americano, fino alla letteratura russa pre-rivoluzionaria) dei loro schiavi, servi, dipendenti: scansafatiche, crapuloni, perditempo, che andavano controllati continuamente, mai persi di vista, anche quando lasciavano l'anima sui campi o sugli opifici. Gli strumenti di controllo erano il bastone e la carota: la frusta, il licenziamento, e il premio, per i più meritevoli, che potevano aspirare a diventare fattori, capetti, ecc.
E insomma: chi diavolo decide chi è meritevole? Chi se non qualcuno che ha un potere o a cui viene affidato il potere di giudicare qualcuno che questo potere non ha?
E subito dopo: meritevole per che cosa poi? Per essere stato giudicato migliore di un altro. Avete capito? La vita come una gara in cui dobbiamo correre come dei cavalli cercando di essere più veloci degli altri. Non è importante nemmeno ciò che si fa (e ovviamente nemmeno ciò che si è come persone) ma riuscire a dimostrare che gli altri SONO PEGGIORI DI NOI.
Consiglio vivamente la lettura del bellissimo volume di Jack London, Il popolo dell'abisso, che racconta la Londra dei miserabili di fine '800. E' stato ripubblicato quest'anno da Mondadori.
Leggetelo e ditemi se l'equazione 1800=2000 non vi sembrerà in fondo terribilmente realistica.
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